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CRESCERE NEL CRIMINE

Ragazzi e ragazze, tutti rinchiusi nello stesso lurido posto. Vittime delle loro azioni. Vittime di ciò con cui si sono macchiati. Vittime di chi li ha cresciuti. Ma soprattutto, vittime di loro stessi. Quando sei vittima di te stesso non puoi correre da nessuna parte. Solo imparando ad affrontare la realtà, solo così, potrai dire di essere veramente libero. Ma ci si può liberare della propria mente? Non potrai mai sentirti libero se prima non impari a convivere con quel che hai fatto pagandone le conseguenze. Alcune cicatrici è difficile guarirle. Dipende dove te le porti, se nel corpo, o nella mente. I pensieri fanno male, logorano. Le azioni ne conseguono. Ma quando ti ritrovi in un posto dove quel che hai fatto ti viene messo tutto su un tavolo, non puoi non guardare in faccia la realtà. Così impari a conviverci h 24, rimanendo solo tu coi tuoi pensieri perenni. Loro verranno uniti da una sola cosa, ovvero, una cella fredda ed un pavimento polveroso dove parlare dei loro maledetti problemi. E questa, è la loro storia... Lui, per lei è come una calamita Lei, per lui è la persona sbagliata. Lui, è la tempesta. Lei, è la calma. Lui, è la persona da cui vorresti stare lontano. Lei, è la persona a cui vorresti stare affianco. Lei, è cresciuta volendo pensare al futuro. Lui, è cresciuto restando intrappolato nel passato. Lei, angelo dannato in cerca di emozione. Lui, demone disperato in cerca di pace. Lei, vittima del pericolo. Lui, vittima del crimine. ⏩©copyright,tutti i diritti riservati sequel: "VIVERE NEL PERICOLO". STORIA COMPLETATA⏪

thestories01 · Realista
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66 Chs

XLVI° cresciuto fra pazzi e cattivi

Lo guardai in modo attento.

«Non dobbiamo per forza odiarci.» spinsi fuori dalle labbra.

Aron sbuffò una delle sue risate sarcastiche.

«Guarda che dico davvero.» continuai a sperare di fargli capire.

Si rimise in piedi.

«Oh, ma sul serio?»

Mosse le sopracciglia.

«Io non vedo altro tra di noi. E lo sai benissimo.»

Mi fece indietreggiare.

«Non odiarci? Sul serio? Stai scherzando forse?»

Quasi inciampai.

«Noi due non possiamo fare altro che questo oramai.»

Indicò me e poi lui.

«Non c'è motivo per cui ora debba essere diverso. Non credi?»

Usciì dalla cella.

«Siamo due mondi totalmente opposti Christian, e lo sai anche meglio di me.» mi disse in fine.

Chiuse la porta con un tonfo.

Era sempre stato così.

Con lui era sempre una questione di porte chiuse in faccia.

Ero dannatamente stanco di tutto questo.

Perchè combattere anche fra di noi? Me l'ero sempre chiesto, ma infondo, era da sempre stato così.

La gelosia portava rabbia. La rabbia portava rancore. Il rancore portava all'odio.

...FLASHBACK...

Sono appena rientrato in casa.

«Ciao, figlio di papà. Come sono andate le lezioni quest'oggi?»

Mi giro per guardarlo «E tu? Hai già finito di combinare le tue cazzate in giro?»

Si alza dalla sedia e viene verso di me.

«Come ci si sente ad essere amato da nostro padre?»

Stava scherzando?

In tutta risposta mi metto a ridere, giro i tacchi, decido di lasciarlo lì con le sue stupide convinzioni.

«Hey!»

Mi afferra per le spalle ed io finisco col sedere per terra!

Gli dico «Che diavolo stai facendo?!»

«Perchè tu sei quello che si fa sempre amare?!»

Lo guardo con perplessità «Ma di che cosa stai parlando?!»

«Hai capito benissimo!»

«Tu sai solo parlare e basta. Vedi le cose solo a modo tuo.» gli riservo uno sguardo astioso.

Aron sghignazza «Oh, certo, perchè io sono il malato che vede tutto distorto. Vero?»

«Non è quello che ho detto.» lo spingo e me lo tolgo di dosso «E lasciami in pace!» mi rialzo in piedi.

Dopo essermi voltato faccio per andare di sopra ma lui mi afferra nuovamente.

Io «Lasc–..»

Non faccio in tempo a terminare la frase che mi assesta un pugno dritto sullo zigomo!

Iniziano a volare pugni di quà e di là.

Finiamo per fare a botte. Continuiamo senza fermarci.

La porta sbatte, ma ce ne accorgiamo a malapena.

«Hey che cosa state facendo?!»

Nostro padre ci separa.

Dopo avermi mandato di sopra quasi a calci lui si ferma giù con Aron.

Sento i colpi, odo le grida, ma non posso farci niente.

Se l'è cercata.›

...FINE FLASHBACK...

Capitava molto spesso che quando tornavo a casa lui se la prendeva con me. E non solo lui.

...FLASHBACK...

La testa mi duole, l'ho sbattuta.

«Perchè devi essere meglio di me?!»

Mi arriva un altro pugno.

«Claus, basta!» urla Grace.

Lui ovviamente non l'ascolta, non la sente nemmeno.

Si fionda su di noi! Cerca di afferrarlo per il braccio ma lui tira uno strattone e lei finisce sul pavimento.

Qualcosa si accende in me.

Mi rialzo e senza che quasi se ne accorga è mia la volta di assestargli una miriade di pugni. Ma lui è più forte. Ci mette un attimo per ribaltare nuovamente la situazione.

«Vuoi fare l'eroe?!» mi grida addosso.

...FINE FLASHBACK...

Quel giorno finì nel peggiore dei modi.

Odiai a morte i gemelli Jhones per tanto tempo.

Loro non sapevo niente. Non avevano idea di com'era rimanere in quella casa h24! Eppure se la prendevano sempre con me.

Eri il loro punto sicuro di sfogo.›

‹Lo sono sempre stato di tutti.›

Aron era ricolmo di invidia,di gelosia. Ma per che cosa? Be'. Non aveva proprio niente da invidiarmi.

Claus invece non mi aveva mai sopportato e basta. Non mi aveva mai accettato davvero.

La goccia che forse fece traboccare il vaso fu che io non ero finito dentro con loro, ma, se così fosse stato, non ne sarei uscito vivo. Troppa gente ce l'aveva con me. Quando andavo in giro con quei due ero sempre stato quello più spericolato ed ogni volta erano i medesimi a dover far calmare le acque. Mi tiravano sempre fuori dai guai. O così era all'inizio, prima che succedesse tutto.

Aron ad un certo punto visto che mi trovavo ancora davanti alla sua cella mi disse seccato «Te ne vai o no?!»

«Sì. Me ne vado!» girai sui tacchi. ‹Meglio che me ne vada. Altrimenti sarei entrato dentro e ti avrei restituito tutto il male che mi hai fatto.› -pensai con ardore.-

Quell'idiota gli aveva sempre fatto da cagnolino. Non faceva altro che seguirlo ovunque andasse.

E pensare che da piccolo fosse il suo eroe. Mentre ora... Era diventato un supercattivo da sconfiggere.

Sospirai.

Claus aveva sempre avuto un animo cattivo. Perfido. Senza sensi di colpa. Ma su questo assomigliava molto a nostro padre.

Aron, invece, era malato di testa da sempre. Era facilmente influenzabile ed altrettanto malleabile.

Entrambi non erano persone a posto. E nonostante fossero stati portati da molti psichiatri non era cambiato un bel niente.

Aron diventò un "pazzo". Riscoprì una parte dormiente di lui. Una parte malsana, maggiore di quella che aveva Claus.

Tutto quello di cui si faceva aveva assicurato il suo risveglio. E lo ricordavo bene. Alla perfezione.

Quel suo secondo carattere era un qualcosa di disintegrante. Indescrivibile. Era uscito di testa. Poi venne portato quì e gli venne somministrato quel medicinale. Parve aiutarlo, ma lo deviò ancora di più.

Mentre Aron doveva fare i conti con sé stesso, Claus ci aveva fatto amicizia. Cosa c'era di peggio di un pazzo consapevole? Proprio niente.

Chi fosse il peggiore tra i due non avrei saputo dirlo. Claus. Sicuro. Ma, Aron... Con quel suo lato lo batteva di gran lunga. Perfino Claus arrivò a temerlo, non lo mostrava, ma io lo sapevo benissimo.

Con tutti questi pensieri per la testa non sapevo neanche più dove mi stessi dirigendo.

Aron Jhones (POV'S)

‹Io non sono come lui. Io non sono come lui. Io non sono come lui. Io non sono come lui. Io non sono come lui.›

«Io non sono come lui!»

Con uno scatto rovesciai il comò!

Rimasi in piedi al centro della stanza.

...FLASHBACK...

Li sento litigare. Mi tappo le orecchie.

«Claus? Pssth!» dico.

Volto la testa di lato, dall'altra parte della stanza.

Lo sento sbuffare «Dormi Aron.» si gira dall'altra parte. ‹E come faccio?› -mi chiedo nella mente.-

«Dici che hanno finito di litigare?» abbasso la vocina.

Lui scosta le coperte si alza dal suo letto a mezza piazza e viene verso di me.

Mi si mette davanti «Non riesci a dormire?»

«No.» ammetto.

«Dai, non fare il bambino noioso!»

Mi tiro su a sedere «Sei il fratello più antipatico del mondo!»

«No, tu lo sei!» mi risponde a tono facendomi una pernacchia.

Si sente un cigolio, la porta si apre.

«Bambini siete ancora svegli?»

Nostra mamma entra in camera.

Dopo aver preso un libro qualsiasi si avvicina al mio letto, scosta le coperte, e se lo posa poi sulle gambe.

Guarda mio fratello e gli fa segno di avvicinarsi. Lui ovviamente non lo fa.

L'ho detto io che è antipatico!›

Lei «Dai, su.» lo incoraggia «Guarda che le coccole se le prende tutte Aron.»

Resta fermo dov'è ancora per qualche secondo ma poco dopo corre a mettersi nel letto con noi.

Antipatico.› -continuo a pensare.-

«Allora, c'era una volta...» e mentre inizia a raccontare noi ci accoccoliamo.

...FINE FLASHBACK...

Questo ricordo così pacifico, o quasi, mi fece star male.

Lei era una donna perfetta.›

Come aveva potuto avere quattro figli con una persona del genere?!

Io e Claus portavamo il cognome Jhones, quello di nostro padre, a nostro malgrado.

Perchè Christian aveva un cognome diverso dal nostro? Perchè decise di tenere quello di nostra madre. Josephine Jay. Soave, delicato. Proprio come lo era lei. E come lo era sempre stato lui alla fine dei conti.

Mio padre non poteva più avere altri figli, ma nostra madre sì, e voleva averne. Così ricorse all'inseminazione artificiale. Così nacque Christian, l'ultimo fratello.

Non poté sapere ai tempi cosa avrebbe portato la sua scelta.

Nei suoi primi 15'anni di vita, per lui, non fu mai suo figlio. Lo accettò solo quando seppe di poterlo plagiare a suo piacimento perchè lui non era ancora "un caso perso" come noi due. Parole sue.

Passati un altro paio d'anni nostra madre rimase incinta ancora. Ma non per nostro padre, o per inseminazione, ma per colpa di un uomo.

‹E gliela feci pagare amaramente.›

...FLASHBACK...

«Ti prego! Lasciami andare! Farò quello che vuoi!» dice con voce ovattata.

Mi avvicino e gli sfilo il sacco di yuta dalla testa.

«Oh, grazie. Grazie! Ti giuro–..» continua a parlare a vanvera. ‹Non sopporto più i suoi lamenti.› -penso con noia.-

Tiro fuori il coltello.

Lui «A-aspetta. Che cosa vuoi fare? Senti. Se vuoi dei soldi, li ho! Li ho! Ti giuro che li ho! Però ti prego lasciami and–..»

Ho il pugno piantato nel suo stomaco.

«Taci.»

Mi allontano in seguto da egli.

Questo mi domanda «Posso chiederti solo–..»

Gli arriva un gancio, lo prendo di striscio ma serve a farlo tacere.

«Cosa vuoi da me...?»

«Non demordi èh.» dico con fastidio «Ma su questo non c'erano dubbi...»

-Lui non capisce la mia allusione- ‹Ma quale peccato.›

«A guardarti meglio... Mi sembri un ragazzino...»

Tirai ancor più su il largo cappuccio grigio.

Ad un certo punto alzo lentamente lo sguardo su di egli, stringo i pugni. Li serro.

Come osa, ridere...?›

Questo parla tra sé e sé «Non ci credo... Mi sono fatto rapire da un ragazzino!»

«Adesso basta.» dico.

Mi ci avvicino col coltello in mano, mi preoccupo che lo veda, ma non smette di ridere.

Glielo punto proprio sul linguine.

«Hey! Non c'è bisogno di fare così, stai calmo...»

Taglio la stoffa. Si apre un grande squarcio.

«We we we! Che vuoi fare?! Stuprarmi?!»

Sorrido perdidamente «Oh... Lo stupratore quì non sono io.»

«C-che cosa vuoi dire?» mi dice.

Stringo i denti e parlo da solo «Non sopporto chi fa finta di niente.»

Gli strappo i pantaloni!

«Aah!» sobbalza.

«Ti ricorderai di una donna che incontrasti 10'anni fa.»

«Come?»

«Si chiama Josephine.»

«Chi?»

Gli punto il coltello proprio sopra le mutande, dove tiene il gioiello di famiglia.

«A-aspetta! Io non so di chi tu stia parlando! Non la conosco quella–..» «Neanche ti preoccupi di come si chiama chi decidi di stuprare?!» urlo come un forsennato, gli metto una mano al collo mentre con l'altra stringo il coltello.

Alzo la mano con cui lo impugno e poi glielo pianto di netto.

Lui grida come un pazzo. Io rido divertito dalle sue urla.

...FINE FLASHBACK...

Quella notte tornai a casa ricoperto di sangue.

Mia madre per qualche malsano motivo decise comunque di tenere quel bambino che poi si rivelò una bambina. La chiamò Grace.

Nostro padre non fu affatto felice, dava a lei la colpa. L'unica cosa che aveva saputo fare dopo averlo trovato e dopo aver saputo che lei era rimasta incinta fu di intimargli a mantenere il segreto. Nient'altro.

Grace ovviamente prese il cognome di nostra madre. Ed erano uguali. Due gocce d'acqua. Solo per questo, non riusciì mai ad odiarla.

Poco prima della sua nascita nostra madre cominciò la sua caduta fino a sprofondare completamente negli psicofarmaci.

Mi mancano entrambe.› -mi dissi.-

Io non era mai stato troppo presente per Grace, avevo i miei problemi, ma le volevo bene.

Cominciammo a fare le nostre prime sciocchezze a soli 12'anni. Seguiì Claus, per me lui era una guida. E quanto mi sbagliai...

Qualche anno dopo conobbimo Nicolas. Eravamo tre idioti che combinavano solo guai per le strade di Londra.

Si era inserito bene tra di noi.

Ci fecimo finire dentro anche il nostro fratello più piccolo, Christian. Lui e Nicolas andavano molto d'accordo e ben presto divennero amici.

Lasciammo Grace, sola in quella casa. Ma forse lei se l'era sempre cavata meglio di noi.

Era furba, era sveglia, intelligente.

Era piena di qualità che purtroppo non avrebbe mai potuto sviluppare nella sua vita.

Mi sedetti a terra.

Sì, bravo, datti la colpa.›

‹Non faccio altro. Lo sai benissimo.›

Osservai il soffitto.

Andai avanti per così tanto tempo che ad un certo punto cominciai a mutare in qualcuno che non conoscevo.

Non ricordavo quei tempi.

‹O magari non vuoi e basta.› -mi fece presente. E le diedi ragione.-

Non volevo ricordare chi ero.

Hai paura.› -ricominciò a parlarmi- ‹Dai, fammi tornare.›

«No! Mai!» scattai in piedi, mi premetti la fronte.

Non deve tornare.›

‹Però ha ragione.›

‹E su cosa?!›

‹Che ne hai paura.›

Non sarei mai tornato il mostro che ero.

Non ricordavo quel periodo.

Ma era una bene? O era un male?

Avevo portato così tanto dolore alle persone che ogni notte udivo le loro urla chiedere vendetta.

La colpa, però, non era solo mia. Era causa di com'ero cresciuto.

Se vedevo qualcuno sorridere c'era un qualcosa di assai profondo che voleva spezzare quel sorriso. Veder morire quella felicità che io non avevo mai assaporato. Volevo bruciare ogni loro sentimento positivo e vederlo farsi cenere.

Sono sempre stato solo capace di distruggere ed uccidere tutto al mio passaggio.›

Taylor Vega (POV'S)

Erano passati un paio di giorni, l'influenza non mi era ancora passata del tutto ma perlomeno non avevo più la febbre.

Qualcuno mi diede una spallata «Wei, ciao pazza.»

«Dylan.» pronunciai il suo nome con astio. ‹Che diavolo vuole?

Mise un braccio sulla porta sbarrandomi la strada «Allora? Che si dice nel mondo dei pazzi?»

Sbuffai «Si può sapere cosa vuoi?»

«Sì, dicci cosa vuoi.»

Martina spuntò proprio dietro di me.

Notai degli sguardi che non riusciì a comprendere tra i due.

Martina disse «Levati del cazzo.»

Gli tirò una spallata.

«Perchè devi fare così?» le parole di Dylan la fecero fermare «Smettila di odiarmi!»

Perchè percepivo un'aria di tensione così pensante da poterci schiacciare?

«Smetterla di odiarti...» disse a denti stretti.

Il suo pugnò sferzò l'aria e si schiantò proprio affianco al viso di Dylan.

Nei suoi occhi ci vidi il più puro odio.

«Per colpa tua mio fratello è morto.» mise giù il braccio con lentezza «Non serve che te lo ricordi.»

Rimasimo da soli.

Che cosa avevo appena udito?