Aron Jhones (POV'S)
Udiì alcune voci.
‹Chi sono?› -come mi porsi la domanda fui in grado anche di darmi una risposta.- ‹I guai, chiaramente.›
Dopo aver udito il bip la porta scorse lentamente per poi aprirsi.
«Heilà!»
Distolsi lo sguardo, decisi di non rispondergli.
‹Non ne vale la pena.› -mi dissi.-
Jo «Ciao Jhones.» mi sorrise.
‹Veramente osa chiamarmi così?›
«Vaffanculo.»
A questo non potei stare zitto, non ce la feci.
Tentai di alzarmi in piedi visto che non avevo più la camicia di forza. Ma purtroppo non fu fattibile visto i sedativi che mi avevano dato per farmi "stare calmo", quando sapevo benissimo che me li somministravano solo per rimbambirmi e non permettermi di muovermi come volevo!
Mi ritrovai a carponi e rimasi fermo così.
Non riuscivo a stare dritto in piedi!
Mario s'avvicinò.
«Giù!» mi diede una spinta col piede e ricaddi a terra.
Feci per rialzarmi usando i gomiti come appoggio.
Lo sfidai con lo sguardo «Rifallo.» ‹Perchè non stai mai zitto?!› -mi disse la mia coscienza.-
Mario «Mi stai sfidando?» si accucciò, era così vicino che potevo riuscire a sentire il suo alito arrivarmi dritto alle narici.
«Sì.»
Sputai per terra, proprio vicino al suo piede.
In risposta mi sorrise e dopo aver fatto un gesto con la mano mi vennero addosso!
‹Non dire che non ti ho avvertito.›
‹Non oserei.›
Tanto non sarebbe cambiato nulla, per una cosa o per l'altra mi sarebbero venuti contro lo stesso.
Quindi tanto valeva divertirsi, no?
Steven «Pezzente.»
Mi tirò su prendendomi per la maglia.
Mario «Animale.»
Mi diede una ginocchiata nello stomaco.
Jo «Maledetto.»
Mi tirò un gancio dritto sullo zigomo.
Liamh «Bastardo.»
Mi spinse ed io caddi a terra.
Steven «Lurido.»
Mi prese per la maglia.
Mario «Mostro.»
Mi tirò un pugno colpendomi le costole.
Jo «Assassino.»
Mi si mise davanti e mi tirò una testata.
Liamh «Fetente.»
Mi lasciò ed io strammazzai a terra.
Steven «Stronzo.»
Mi prese su di peso.
Mario «Bestia.»
Mi diede un calcio con la tibia nel torace.
Jo «Crepa.»
Mi spinse ed io caddi sul pavimento.
‹Questa volta preferirei non farcela.›
Iniziai a sentirmi stanco, tanto stanco.
‹Non combatto.›
Non mi era mai capitato di sentire questo tipo di dolore.
‹Non ne ho le forze...›
Avevo subito talmente tanti colpi che finiì per non contarli più.
‹Ma combattere per quale motivo, è?›
La vista mi stava abbandonando, mentre il respiro continuava a spezzarsi.
‹Quando di motivo non ne vedi neanche mezzo...›
Non avevo idea di come descrivere ciò che stavo provando.
‹Mi vogliono ammazzare?›
Non riuscivo a capire e ne udire più le loro parole.
‹Perfetto.›
Qualsiasi cosa da cui ero attorniato si era deformata assieme ai loro volti.
‹Non m'importa.›
Continuai a subire, non riuscendo a reagire in nessun modo.
‹Quando una persona è già morta dentro esalare il suo ultimo respiro che le cambia?›
Le ossa mi facevano talmente male che ormai ad ogni colpo subito non percepivo niente, niente di niente.
‹Nulla.›
L'unica cosa che riuscivo ancora a fare era formare dei pensieri anche se poco compiuti.
‹Anzi, gli fai un fottuto favore.›
Persino quel poco di respiro che ancora mi sembrava d'avere mi stava abbandonando.
‹A me...›
Decisi di chiudere le palpebre e di sperare che tutto ciò terminasse il più presto possibile.
‹Fanno un fottuto favore.›
Taylor Vega (POV'S)
Me la ritrovai davanti.
Non reagiì come avevo previsto.
Mi tremavano le gambe. Il mio respiro era irregolare, non avevo idea di cosa fare. Ero come bloccata.
‹Taylor, diamine. Reagisci!›
Alzò lo sguardo.
A primo impatto notai il segno delle occhiaie che aveva sotto agli occhi. Da quanto non dormiva? Forse faceva fatica da quel giorno... Il suo viso era davvero stanco, mentre i suoi occhi non lasciavano trasparire alcuna emozione. Le mie pupille si spostarono in seguito sui suoi capelli castani non riuscendo più a sostenere il suo sguardo. Erano raccolti in un semplice chignonne. Le stava bene, come sempre. Per il resto sembrava essersi trascurata molto ultimamente.
Nel pensare che la colpa era mia ebbi una fitta allo stomaco.
«Le assomigli così tanto...»
Fu lei la prima a prendere parola.
-Sobbalzai, poi mi misi a pensare- ‹Le somiglio?›
La voce che le era uscita non sembrò neanche la sua. Non era dolce, né contenta. Fu roca. Il tipo di voce di una persona che ultimamente non aveva fatto altro che piangere dalla mattina alla sera. Piangere, gridare dalla disperazione, dalla rabbia.
Dovette schiarirsi pure la gola prima di parlare.
Tutto questo era davvero colpa mia?
‹Certo che lo è, di chi dovrebbe essere altrimenti?› -ovviamente dovette dire la sua pure in un momento del genere.-
Mi trovavo ancora in piedi, non mi ero ancora seduta.
Con voce tremante riusciì comunque a dire sottovoce «Mi sei mancata.»
Quel suo sguardo che prima non lasciava trasparire alcunché si tramutò in un'espressione dura e di rimprovero.
‹Perchè ora mi guarda così?›
A quanto pareva non era contenta, per niente. Sembrava un misto di non si sa che cosa.
Feci un passo.
«Lontana.» disse.
‹Sembra–.. No.›
‹Oh sì invece, ha proprio l'espressione di quel giorno.›
...FLASHBACK...
Aprono la porta.
«Signora, sta bene?»
Nessuna risposta, non odo le sue parole. Continuano a farle domande ma lei non risponde.
‹Cosa faccio?›
‹Niente, non puoi fare proprio niente.›
‹Forse dovrei andarmene...›
‹Ti troverebbero. Non puoi farcela.›
Mentre ho una conversazione con me stessa sento i loro passi.
Inizio a tremare.
«Signori–..» come inizia a parlare si blocca appena entra in cucina ed accende la luce.
Non oso voltarmi. Non saprei cosa dire, cosa fare. Ma infondo cosa potrei mai dirgli?
Che è morto lo ha sicuramente notato coi suoi occhi.
«Presto venite quì e chiamate un'ambulanza!»
Poco dopo la mia vista viene offuscata dalla sua presenza.
«Signorina–..» inizia a parlarmi ma io non riesco a rispondergli.
Non so neanche come descrivere la sensazione che sto provando.
Lo guardo, ma è come se non lo vedessi.
«–..Sei stata tu ad ucciderlo?»
Il mio sguardo scatta sul cadavere di mio padre. Si trova lì, a terra, in una posizione quasi disumana.
Sento bruciarmi la gola e una sensazione di disgusto si fa spazio in me. Mi accascio sul pavimento e inizio a rigettare l'anima!
Il poliziotto si sposta facendo un balzo in dietro.
La sensazione di bruciore non fa in tempo a passarmi che mi sento tirare su per entrambe le braccia.
Non riesco a staccare gli occhi dal suo corpo ricoperto di sangue. Ma la cosa che più mi terrorizza sono i suoi occhi ormai spenti, vuoti. Mi guardano. Perchè sono rivolti su di me?! Non erano aperti fino a qualche attimo fa...
«Sì, abbiamo trovato un cadavere.» fa una pausa «Sì, l'assassino è probabilmente quà con noi.»
Sono pervasa dai brividi dopo aver udito le sue parole.
‹Io sono–..› -mi interrompe- ‹Un'assassina.›
Il poliziotto «La dichiaro in arresto!»
Odo il rumore di qualcosa di metallico ed il mio sguardo si posa su quell'oggetto, il bagliore della luna lo illumina per un attimo. E capisco. ‹Manette.› -pronuncio nella mente.-
Non so come riesco a liberarmi della loro presa e corro verso mia madre.
Mi aggrappo alla sua vestaglia e la stringo fra le dita impiastrate di sangue mentre urlo «No!» ‹Ma in fondo a cosa serve?› -mi chiedo.-
Mi spinge via.
«Lontana.»
Tutto mi sembra che vada a rallentatore.
Mi prendono, mi sbattono contro il muro. Anche se mi fanno male non ci faccio neanche caso.
Mi mettono le manette. Ma mentre tutto questo accade io continuo ad osservare lei. La sua espressione...
...FINE FLASHBACK...
In questo momento era dannatamente uguale, e mi sentiì morire.
«Mamma–..» «Non chiamarmi così!» mi urlò contro.
Si era alzata in piedi.
Anziché soffrirne, non sapendo il motivo, venni invasa da una rabbia cieca.
‹Non dovrei chiamarla così?› -mi chiesi.- «E come dovrei chiamarti allora?»
Alzai anch'io la voce di un'ottava.
«Siete sempre state uguali! Tu e–..» «Ssh!»
Mia madre serrò le labbra.
‹Ma–..› -rimasi interdetta.-
Non ero stata di certo io ad interromperla.
Spostai lo sguardo dietro di lei. Strizzai gli occhi, scorsi un'ombra. C'era qualcuno oltre a noi in questa stanza oppure era tutta una mia impressione? Rimasi fissa in quel punto. Ma la cosa che riuscivo a capire di meno era il perchè questa stanza fosse così buia!
«Taylor...»
Mi sentiì richiamare.
Parlai «Stai pensando che sono un mostro, vero?!»
Non avevo neanche fatto in tempo ad accorgermi che avrei pronunciato quella frase.
‹Ti senti più libera ora?›
‹No.› -strinsi le mani in due pugni.-
Continuai «È la verità, madre?»
Non rispose, rimase stupita dal mio cambiamento repentino d'umore.
«Sì.» rispose non guardandomi negli occhi.
Quasi senza volerlo sollevai l'angolo della mia bocca fino a tramutare la mia espressione in un ghigno.
Mi avvicinai a lei «Allora forse avresti preferito che ti ammazzasse lui?»
«N-non l'avrebbe fatto–..» «Perchè non ti svegli?!» mi misi ad urlare. ‹Non perdere la calma!›
Indietreggiò «Io–..»
La continuai a guardare dritta negli occhi «Tu... cosa?»
Alzò la testa, finalmente.
«Lui mi amava!»
Ne era davvero troppo convinta.
«Una persona che ama, non fa del male.»
Riabbassò la testa. Perché non era in grado di guardarmi negli occhi?!
«Tu non sai cosa vuol dire amare.»
«Ma so cosa vuol dire essere amati.»
Sembrai riscuoterla con quelle parole.
-Quando mi diede modo di guardare nei suoi occhi pensai- ‹Perchè ho come la sensazione che con quello sguardo mi stia dicendo che non è mai stato così?›
«E quello, era tutt'altro che amore.» dissi in fine, non avendo terminato ancora la frase.
Si risedette sulla sedia metallica. Appoggiò i gomiti sul tavolo e mise le mani davanti al viso rimanendo così per un po'.
Non sapevo cosa fare.
«Stai bene?» chiesi.
Spostò le mani lasciando allo scoperto solamente gli occhi e la fronte. Potetti notare che il suo sguardo scuro fosse arrossato, le stava venendo da piangere? Strofinò le mani fra di loro, le strinse, per poi appoggiarcisi col mento. Aveva gli occhi fissi sul tavolino. Tirò su col naso.
Cos'era davvero venuta fare quì visto che a quanto pareva non era per una semplice visita di cortesia?
Prima che potessi parlare mi precedente, alzandosi «Non so perchè sono venuta quì.» ‹Te l'ho già detto che a volte avere ragione non è così bello?› -dissi praticamente a me stessa.-
Mi misi a braccia conserte «Ma non mi dire...»
Udiì il vibrare di un messaggio.
Finalmente posò il suo sguardo dritto nel mio «Non penso che ci vedremo ancora.»
‹Cosa intende dire?›
Non feci neanche in tempo a risponderle che spalancarono la porta!
«Il tempo è scaduto.» mi disse la guardia.
Mi prese con la forza dopo avermi messo le manette!
Io «Aspetta, ma–..»
Mi voltai verso di essa, ma mia madre era già andata via.
21:40
Si era fatta sera tarda, fra venti minuti avrebbero spento le luci.
*click*
Aprirono la mia cella.
‹Oh, quindi ci sono anche delle guardie donna?› -pensai, anche se il suo vestiario era leggermente diverso.-
«Le ho portato la sua medicina.»
No, sembrava più un'infermiera.
Per l'appunto era stata accompagnata da una guardia che la stava aspettando fuori.
Io «La ringrazio.»
Dopo aver appoggiato il bicchiere d'acqua sul comò andò via.
Presi in mano quella piccola cachet blu a forma di disco ed iniziai ad osservarla.
‹Da quanto tempo ormai prendo questa pasticca?› -mi chiesi senza ricordarmelo davvero.-
«Psst!»
Drizzai le orecchie. -Non udiì altri rumori- ‹Devo essermelo immaginato.›
Afferrai il bicchiere d'acqua.
«Psssst! Mi senti?»
Appoggiai la pastiglia sul comodino e dopo essermi alzata dal letto mi avvicinai alle sbarre laterali.
Sorrisi «Ambra, ciao!»
«Che ti ha portato quella tizia?»
«È?» -Rimasi un attimo lì per lì- ‹Non capisco il significato di questa domanda.›
Ambra si appoggiò con le braccia a penzoloni fuori dalle sbarre «Niente, volevo solo sapere una cosa...»
Le chiesi «E sarebbe?»
Sembrò spalancare gli occhi «Com'è fatta?»
«Ma perchè lo vuoi sapere?» continuai a chiederle volendo capire il perchè della sua curiosità.
Espirò «Perchè mi è capitato di veder portare delle medicine solo ad alcuni detenuti, insomma, ti sembra normale in un carcere?» ‹Non ha tutti i torti.› -sopraggiunse.-
Misi due dita sotto il mento e ci pensai su «Bé...» ‹Aspetta, solo ad alcuni detenuti?› «Non le rifilano a tutti?»
«Assolutamente no! Come ho già detto, non è normale. Ti sembra?» mi disse lei.
Le mie dita si chiusero attorno alle sbarre di ferro «No.»
«Be', non che ci sia qualcosa di normale quà dentro.» aggiunse poi «Però...» parve sovrappensiero.
«Mh, quindi?» la osservai.
Si guardò in giro e poi si rivolse di nuovo a me «Non prenderla.»
«Ma le prendo da sempre!» la misi al corrente.
Ambra «Allora aspetta a prenderla.»
«E perchè?» sulla mia faccia erano più che chiari i miei dubbi.
Mi puntò col dito «Ho un'amica che ha studiato medicina, domani andiamo da lei.»
«Ma–..» ‹Ma perchè?›
«Notte! Cerca di dormire!»
Non le risposi nulla.
La notte stessa non dormiì molto bene, la passai interamente nel dormiveglia.
14:03
Mi trovavo già in cortile ma non la vedevo.
«Taylor!»
Volsi il capo verso Ambra.
Lei «Andiamo?»
«Certo.»
C'incamminammo verso una ragazza.
«Chiara!» mi prese la mano di sua iniziativa e me la strinse.
Ne rimasi leggermente interdetta ‹Leggermente?› -mi disturbò.- «Taylor, piacere mio.»
Ambra «Bién.» si rivolse poi a me «Non te la sei ingoiata vero?»
Ci rimasi un attimo ‹Di che parla?› «Emh...»
«Ti avevo detto–..» «Ah!» me ne ricordai.
Ambra mise una mano sul fianco «Allora?»
Lanciai un'occhiata verso Chiara «Non dovevamo vedere una tua amica? Un' "esperta", insomma...»
Chiara s'intromise «Estoy aquí, davanti a te!»
Ci rimasi quasi male ‹L'apparenza non è tutto, lo sai vero?› -mi sentiì stupida.- «Perdonami...»
Sventolò le mani davanti a sé «Oh lo sé, lo sé. No sei la primera que me lo dice–..» «Mi dispiace...» ma non mi fece dire altro, anzi, nemmeno mi ascoltò!
«–..sarà per i rasta, o para i pearcing y los tatù–..» continuò a parlare a ruota. ‹Ma non si ferma più?!›
Ambra «Ookayy! Abbiamo capito.» mise le mani davanti a sé.
Chiara si fermò, finalmente «Bene, ahora?»
«Tirala fuori ragazza.» mi disse abbassando il tono di voce.
Io «Emh...» ‹E adesso che faccio?› -mi chiesi.-
Ambra «Avevi detto che non l'avresti presa!»
«È così!» mi difesi.
Lei «Ma...?»
«L'ho lasciata sotto al cuscino.»
Entrambe si schiaffarono una mano in fronte!
Chiara «Allora vamos a prenderla!»
‹Sono pazze?!›
Ambra «Si dice: 'prénderlà', non 'préndérla'.» la corresse.
La ragazza sbuffò sonoramente «Yo lo dico así, sai que voglio mantenere il mio idioma il più posible.»
Ambra la riprese «Ma non per questo devi mescolare!»
«Uffa!
Non mi misi in mezzo.
I minuti trascorsero.
Chiara «Comunque, quindi que hacemos?»