webnovel

CRESCERE NEL CRIMINE

Ragazzi e ragazze, tutti rinchiusi nello stesso lurido posto. Vittime delle loro azioni. Vittime di ciò con cui si sono macchiati. Vittime di chi li ha cresciuti. Ma soprattutto, vittime di loro stessi. Quando sei vittima di te stesso non puoi correre da nessuna parte. Solo imparando ad affrontare la realtà, solo così, potrai dire di essere veramente libero. Ma ci si può liberare della propria mente? Non potrai mai sentirti libero se prima non impari a convivere con quel che hai fatto pagandone le conseguenze. Alcune cicatrici è difficile guarirle. Dipende dove te le porti, se nel corpo, o nella mente. I pensieri fanno male, logorano. Le azioni ne conseguono. Ma quando ti ritrovi in un posto dove quel che hai fatto ti viene messo tutto su un tavolo, non puoi non guardare in faccia la realtà. Così impari a conviverci h 24, rimanendo solo tu coi tuoi pensieri perenni. Loro verranno uniti da una sola cosa, ovvero, una cella fredda ed un pavimento polveroso dove parlare dei loro maledetti problemi. E questa, è la loro storia... Lui, per lei è come una calamita Lei, per lui è la persona sbagliata. Lui, è la tempesta. Lei, è la calma. Lui, è la persona da cui vorresti stare lontano. Lei, è la persona a cui vorresti stare affianco. Lei, è cresciuta volendo pensare al futuro. Lui, è cresciuto restando intrappolato nel passato. Lei, angelo dannato in cerca di emozione. Lui, demone disperato in cerca di pace. Lei, vittima del pericolo. Lui, vittima del crimine. ⏩©copyright,tutti i diritti riservati sequel: "VIVERE NEL PERICOLO". STORIA COMPLETATA⏪

thestories01 · Realistis
Peringkat tidak cukup
66 Chs

LVI° due buchi neri

Decisi di giocare un'altra carta.

Così, le chiesi «Chi pensi essere, adesso?

Il lato sinistro della sua bocca rosea s'inarcò di qualche millimetro all'insù. -E pensai- ‹Non può nascondere che ho toccato un certo punto con la mia domanda.›

Ero un vero e proprio intenditore del linguaggio del corpo. Anche se, lei, era una grande un'incognita persino con esso.

«Chi sono.» disse.

«È una domanda retorica?» domandai a mia volta.

«No.» rispose pacata «Sono chi sono adesso.»

Ancora. Ancora e ancora.› -quasi grugniì- ‹Sta continuando è?›

«Pensavo che fosse il direttore di un carcere, non uno psicanalista.» mi fece presente.

Non la contraddiì. Rimasi ad osservarla, ancora, e ancora. Fino a far sì che il suo volto mi si imprimesse nelle pupille fino alla nausea.

Era lei. Ne ero certo. Adesso. Doveva essere lei. Ma, al coltempo, non lo era.

Non avrei saputo come spiegarlo.

C'era qualcosa di contorto e vuoto, e oscuro, in quel paio d'occhi che prima erano luminosi ed intrisi di una nota di confusione.

Dapprima ch'era in ansia, ora si trovava esattamente a proprio agio ed io ero ben consapevole di che tipo di agio si trattasse. L'agio del pazzo manipolatore e della tranquillità piatta, che però in realtà era tutt'altro.

La particolarità della contorsione del suo animo io la percepivo.

Confuso. Intrappolato. Inesistente. Esistente. Un grumo di spiacevolezza.

«Vuole vedermi nell'animo?» si alzò «Prego...» mi si avvicinò.

Io fui incatenato nel suo sguardo ora annerito da fitte nebbie del passato. Di ciò che era. Di ciò che nascose.

«Guardami.»

Me la ritrovai all'improvviso ad un palmo dal naso.

Un demone.› -trasaliì.-

In un nanosecondo fui in piedi.

Cos'era questa sensazione di disagio lampante che ora mi picchiava nel petto?

Non seppi perchè, ma provai qualcosa. E fu l'intimidazion. Io.

Ciò che ci lessi fu quel che si potrebbe leggere all'interno di un demone in carne ed ossa.

«Sei libera di andare.»

E, di colpo, tornò com'era appena entrò quì dentro.

Sbatté le palpebre «Io...» si toccò la testa.

Mi ricomposi.

«Puoi andare.» dissi ancora.

Rimase silente, confusa. E poi si voltò per aprire la porta e finché non vidi la sua figura sparire dietro di essa durante la sua chiusura non buttai fuori l'ossigeno dai polmoni.

Taylor Vega (POV'S)

Stavo cammiandno di fianco a Christian, ma era come se non lo stessi facendo davvero.

Non ricordi la conversazione, vero?›

‹Non c'è stata.›

‹Oh. Sì, c'è stata eccome.›

Mi massaggiai le tempie. Qualche minuto prima avevo avuto delle fitte, e pensai fosse l'inizio del mio dolore, ma erano già cessate.

Andai a sbattere contro di lui.

«Mi stai ascoltando?»

«È?» dissi con confusione.

Christian mi osservò con attenzione.

«Vuoi andare in cortile o nella tua cella?» mi, probabilmente, ridomandò.

«Non saprei... Sono un po' scossa.» mi stropicciai gli occhi.

«Ah, a proposito» cominciò a dire «di che avete parlato?»

«Di niente.» feci spallucce.

Inarcò un sopracciglio «Di niente?»

«Sì, di niente.»

«Impossibile.» constatò.

Ma era vero, non avevamo parlato praticamente di niente «È così.» insistetti.

Il suo sguardo fu penetrante.

«Cosa c'è?»

«Niente.»

«Niente?»

«Sì, niente.» e si voltò.

Fu mia la volta di alzare un sopracciglio.

Ripresi il passo dietro di lui.

«Comunque» intavolai un'altra conversazione «è assurdo che il direttore sia il padre di Aron e Claus.»

Christian non rispose.

Lui lo sapeva.› «Tu lo sapevi.»

Ancora una volta, nessuna risposta.

Continuai «Aspetta...» ci pensai su un attimo «Tu perchè lo sai?»

«Fai troppe domande.» la sua risposta fu tagliente, una di quelle risposte che voleva far intendere che il discorso si doveva chiudere.

Quà troppa carne puzzava di bruciato.

Christian Jay (POV'S)

Non è possibile.› -pensai per l'ennesima volta.- Era davvero impossibile che non avessero parlato di niente. Non voleva dirmelo. E non capivo il perchè.

Mi stavo dirigendo da Nicolas col suo piatto.

Quando fui davanti alla sua cella l'apriì ed appoggiai il tutto sul comò.

Gli occhi mi scapparono su di egli, percorsi con lo sguardo la sua figura, fino al suo viso. Stava guardando il soffitto. Non mi stava degnano di uno sguardo. Niente battute, niente occhiatacce. Niente di niente.

«Sembri arreso.» non seppi perchè ma non riusciì a fermare la mia lingua.

«Vattene.» rispose monocorde continuando a non guardarmi.

Sbuffai. Oggi non avevo voglia di litigare, la mia voleva essere solo una semplice domanda a puro scopo informativo.

Rimasi lì.

Nicolas socchiuse gli occhi e buttò fuori dai polmoni un lungo sospiro. Sembrò che avesse trattenuto quell'aria per troppo tempo, ma non ci fu sollievo.

«Cosa dovrei dirti? Oggi ti gira che me ne stia quà dentro solo perchè il tuo stupido amico non c'è. Sono libero di uscire da solo giusto per andare in bagno a farmi la doccia, ah, e, grazie per questa tuo atto caritatevole. Davvero.» ‹Il sarcasmo non gli manca mai è?› «Ora se hai finito di–..» «Mi biasimi?»

'Sta volta sì che mi guardò «Come?»

«Mi biasimi? Ti ho chiesto.»

Sbatté convulsamente le palpebre «Scherzi, vero? Non ne hai motivo!»

«Ne ho tanti di motivi invece.» ribattei.

Sorrise in modo storto «Ah sì?»

«Sì, visto che sei entrato quì per via di Claus.»

«Ora sono io che ti domando:» leggera pausa «mi biasimi?»

«Sì. Un sacco. Sai che cos'è capac–..» «Certo.» m'interruppe «Ma è l'unico fra tutti e tre che alla fine dei conti non mi ha pugnalato alle spalle quel giorno.»

Oggi non avevo voglia di far combattimenti. Mi sentivo spossato da tutto quanto.

Sospirai e lo lasciai lì dopo aver richiuso la porta. Mossi un piede, ma non feci il passo.

Le parole mi costarono «Stasera mangerai con gli altri senza che qualcuno ti stia col fiato sul collo.»

Non ebbi riposta, ma di certo non la volli aspettare.

19:30

«Mi hai chiesto di non seguirlo più ma tu non ti perdi una sua mossa?»

Non mi voltai verso James, dal tono che aveva usato il suo sguardo ora era ricolmo solo di biasimo. Lo conoscevo bene.

«Gli faccio credere che sia così.»

«Come se fosse scemo...» commentò ed io gli tirai un'occhiataccia «È un bastardo, non uno stupido. E lo sai.»Come dargli torto.›

«Sei peggio di una donna...» espressi, ed il mio amico mi tirò un'occhiata come per dirmi: 'ma fai sul serio'? «Be', scusa, ma tu potresti concorrere alla grande e pure vincere.»

Incrociò le braccia «Non ti seguo.»

«Contro una donna, con la teorica ragione che hanno sempre le donne.» lo illuminai.

Fuoriuscì uno sbuffo dalle sue labbra «Va' a cagare.»

Più tardi, mentre vagavo per il corridoio centrale, mi imbattei in una bionda dal carattere discutibile.

«Rose.» chiamai il suo nome «Per quale motivo ti stai aggirando quì per di più a quest'ora in modo così...» la osservai, aveva qualcosa che non andava.

Lei mi guardò a malapena «Ero andata in bagno.»

Perchè avevo una strana sensazione?

«Guardami.» le dissi.

E per la prima volta nel suo sguardo ci lessi: timore.

Non capiì. Che le stava prendendo?

Quando tentò di riprendere il passo le afferrai «Che cosa stai nascondendo?»

«Niente!» Sta mentendo.› «Mollami!»

Continuai a tenerla per il gomito «Dimmi cosa sta succedendo.»

Questa volta lo sguardo che mi riservò fu adirato «Non capiresti!»

«Spiegati.»

«Ti ripeto che sto bene.» il suo sguardo, quando riusciì ad afferrarlo, la smentiì.

«Ti conosco. Hai qualcosa che non va.»

«Chri, mollami.» mi disse con decisione.

Mi spuntò un sorrisetto divertito a fior di labbra «Era da tanto che non mi chiamavi così.»

Rose inarcò il sopracciglio sottile «Da quando abbiamo smesso di scopare, ecco da quando.» se ne uscì, così.

Boccheggiai.

La lasciai e lei come una furia se ne andò via.

Taylor Vega (POV'S)

Si trovavano praticamente tutti in cortile, io ero una delle poche rimaste quì. Il tempo quest'oggi non era dei migliori.

Era un altro giorno. Un altro giorno di routine, di noia, e di sguardi minacciosi. Sì. Perchè lo sguardo di quel nano maledetto era puntato sulla mia figura in un modo così intenso che mi stava quasi perforando la carne.

Alzai la mano e gli feci il dito medio.

Decisi di andarmene in bagno, non prima di aver notato un altro sguardo su cui però non volli soffermarmi, perchè quei suoi due occhi verdi erano capaci di spogliarti a volte, e quella sua bocca, di masticarti per poi risputarti per terra.

Trattenni l'istinto di fare il dito medio anche a lui.

Quando varcai la soglia mi diressi verso i lavandini e feci scorrere l'acqua.

In questi giorni mi sento così...› -iniziai a pensare ‹"Non in vita". Trasparente.› rialzai lo sguardo e mi specchiai. Era come se non mi vedessi, come se non mi sentissi. Per un attimo mi parve pure di veder la mia figura sfocata. E di scorgerci un volto quasi non mio.

Mi stropicciai gli occhi.

Pian piano svanirai.›

Scossi la testa.

Però non le diedi torto, perchè era così che mi sentivo.

Stai già svanendo, il processo è cominciato...› - continuò a dirmi.-

Nelle giornate precedenti, da quando mi avevano ritrovata, mi sentivo strana. Alcune volte mi capitava di star compiendo delle azioni di cui non ricordavo il principio di partenza, mentre altre volte, dimenticavo quel che avevo detto o fatto.

Non stavo bene per niente. E tutto questo da quando avevo smesso di prendere quelle pillole.

Tornai con lo sguardo allo specchio, ci vidi me. E poi...

«Gah!»

Con tutti questi miei pensieri non mi accorsi nemmeno che la porta era stata aperta.

Mi voltai con prontezza verso di lui.

«Ti ho spaventata?» mi chiese con un tono di voce intriso di miele.

-Lo osservai con attenzione- ‹Questo tono, non è da lui. Questo sguardo, non è da lui. Questa espressione, non è da lui.› «Non è da te.» spinsi poi fuori dalle labbra.

Aron non si scompose, inarcò di poco le sopracciglia «Cioè?»

«Tutto questo!» lo indicai per intero.

Lui mi disse «Sembri confusa.»

«Sì, dal tuo bipolarismo cronico? Un sacco.»

Ridacchiò «Oh, andiamo Ley.»

I miei muscoli si tesero. I miei arti si intorpidirono.

«Come mi hai chiamato.»

La mia, non venne fuori come una domanda, anche se l'avevo pensata in testa con un'intonazione differente.

«Era questo il tuo soprannome, vero?» domandò.

Accadde qualcosa che non mi aspettai, e che non riusciì a fermare.

Io parlai a stenti «N-no. Non vo–.. I...o, no-n voglio. Ah!»

Perchè?› -mi chiesi nella mente, l'unico posto dove potevo riuscire a parlare in modo scorrevole.-

«Poi sarei io il bipolare?» incrociò le braccia al petto.

«I-io–..» provai ancora.

«Non riesci a smettere?»

Presi un lungo fiato, e cessò.

«Hai finito di ridere?» mi chiese.

«Non volevo ridere. Non c'è niente da ridere.» ma percepiì il ritorno di un altro "attacco".

Lui «Eppure» disse «lo stai facendo.»

Fu meno forte, ma gli strascichi c'erano ancora.

«Non lo voglio fare.»

«Forse tu no.» -La sua risposta non la capiì- ‹Che vuol dire?› «Ma lei sì.»

«Smettila di parlare così.»

Ed eccola, una fitta.

«Dire la verità?» insinuò «Dovrei smettere di fare questo?»

«Dacci un taglio.»

Aron mi osservò a lungo «Tu, dovresti darci un taglio. Smettere. Uscire.» Perchè parla così?› «Lo so che mi senti.»

«Ma con chi stai parlando?!» una ferocia si impossessò di me senza alcun senso.

«Con te. Non con lei.» ‹Mi sta confondendo.› «Lo so che ti nascondi, ma sei tu, ora.»

«Smettila!» sbraitai.

«Manca poco al ritorno, èh?» sghignazzò fra sé e sé.

In un nanosecondo se ne fu andato, con un balzo mi fiondai sulla porta per aprirla per corrergli dietro. Era scomparso. Dove si era cacciato? Era ciò che continuai a chiedermi nel mentre che lo cercavo. E, ad un tratto, lo vidi.

«Che cavolo volevi dire?!» sbraitai.

Voglio sapere voglio sapere voglio sapere voglio sapere voglio sapere.›

Il suo sguardo era già rivolto su di me, ustionante come al solito.

«Allora?!»Dimmelo dimmelo dimmelo dimmelo dimmelo dimmelo dimmelo dimmelo dimmelo, dimmelo!› «Dimmelo!»

Aron«Ma che cosa?»

«Che cacchio volevi dire? Con chi stavi parlando? Perchè–..» interruppe il mio flusso di domande «Ma che cazzo!» fu lui a inveirmi contro 'sta volta «Ora smettila di venire da me a farmi domande su discorsi che non abbiamo mai avuto o che dimentichi di aver avuto!»

Percepiì il mio occhio traballare «Perchè fai finta di niente adesso?!»

«Ma di cosa cazzo parli!»

Christian ci raggiunse avendo udito probabilmente i nostri schiamazzi «Che succede quì?»

Puntai il dito contro ad Aron con agitazione «Prima mi ha detto delle cose assurde ed ora fa finta di niente!» ed aggiunsi «Cazzo!»

Christian ed Aron si guardarono ‹Perchè si lanciano questi sguardi come dire: 'ma questa è pazza'?!› «Lui è sempre stato quì.» mi fece sapere Christian.

Cosa?› «Ma–..» fermai le mie stesse parole.

Aron mi guardò sprezzante «Ora va' a fare la pazza da un'altra parte.»

Non ebbi la forza di rispondergli.

-Dopo essermi allontanata pensieri di confusione si fecero spazio nella mia testa- Che stia davvero impazzendo? Infondo, non avevo fatto altro che avere vuoti di memoria e ritrovarmi in conversazioni che poi si erano rilevate inesistenti. O forse no. Chi poteva saperlo.

Cominciò a girarmi la testa e dovetti appoggiarmi al muro.

Poi, mi ritrovai a porre la domanda ad una delle persone meno indicate quà dentro «Secondo te sono pazza?»

Lei non mi rispose. Neanche mi guardò.

«Perchè lo chiedi a me?» Rose continuò a guardare avanti a sé. ‹Non lo so. Forse...› «Dovresti chiederlo a te stessa.» ‹È proprio questo che non voglio fare. Non voglio sentirla. Non voglio sentirmi.›

Alzai gli occhi ancora una volta sul suo viso e se lei l'avesse visto forse ci avrebbe letto: 'ti prego, aiutami'. Ma, nessuno a parte me stessa, ora nemica, avrebbe potuto farlo.

«Cosa.» latrò, mentre mi guardava dall'alto verso il basso.

E proprio in basso, mi sentivo. In un abisso confuso ed oscurato da fitte nebbie dal color grigio cenere.

«Nulla...» risposi flebilmente.

Mi mollò da sola.

Claus Jhones (POV'S)

Strinsi così forte il lavabo di ceramica che quasi pensai mi si spaccasse in un secondo fra le mani.

Sta' calmo sta' calmo sta' calmo sta' calmo sta' calmo sta' calmo sta' calmo sta' calmo sta' calmo sta' calmo sta' calmo sta' calmo sta' calmo sta' calmo.› -non feci altro che ripetermi.-

La rivolevo indietro. Ma, era ostinata, questa Taylor.

Se solo non l'avessi salvata anni fa a quest'ora sarebbe morta ed era così che mi ripagava? Nascondendosi? No. Non lo potevo accettare.

Era come una bestia che si era ammaestrata da sola ed ora non riusciva più a tirare fuori gli artigli e né a mordere.

Assurdo l'essere umano, vero?

Aron Jhones (POV'S)

Pazza.› -le affibbiai un termine che io stesso avevo sempre odiato.-

Il suoi occhi mi puntarono, come se fossero stati richiamati dai miei.

«Che vuoi?!» non riusciì a frenare la lingua.

Taylor sussultò.

Perchè ora deve avere questa faccia?› -grugniì.- «E smettila di avere quest'area da cerbiatto spaventato.» la fulminai «Non incanti nessuno con questa tua falsa aria innocente.»

Taylor abbassò di poco il capo ed il suo sguardo cambiò «Smettila di fare lo stronzo.»

«Come?!»

«Mi hai stancato!» sbraitò.

Mi avvicinai al suo viso con fare minaccioso «Non ti azzardare a urlarmi contro!»

Fu suo il momento di grugnire «Va' a fare in culo!»

Mi ha appena mandato a 'fanculo?› -mi chiesi interdetto ed alquanto seccato mentre la guardavo andar via a grandi falcate.-

A volte, comunque, il destino decideva di legarci a persone che non avremmo proprio voluto fra i piedi.