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CRESCERE NEL CRIMINE

Ragazzi e ragazze, tutti rinchiusi nello stesso lurido posto. Vittime delle loro azioni. Vittime di ciò con cui si sono macchiati. Vittime di chi li ha cresciuti. Ma soprattutto, vittime di loro stessi. Quando sei vittima di te stesso non puoi correre da nessuna parte. Solo imparando ad affrontare la realtà, solo così, potrai dire di essere veramente libero. Ma ci si può liberare della propria mente? Non potrai mai sentirti libero se prima non impari a convivere con quel che hai fatto pagandone le conseguenze. Alcune cicatrici è difficile guarirle. Dipende dove te le porti, se nel corpo, o nella mente. I pensieri fanno male, logorano. Le azioni ne conseguono. Ma quando ti ritrovi in un posto dove quel che hai fatto ti viene messo tutto su un tavolo, non puoi non guardare in faccia la realtà. Così impari a conviverci h 24, rimanendo solo tu coi tuoi pensieri perenni. Loro verranno uniti da una sola cosa, ovvero, una cella fredda ed un pavimento polveroso dove parlare dei loro maledetti problemi. E questa, è la loro storia... Lui, per lei è come una calamita Lei, per lui è la persona sbagliata. Lui, è la tempesta. Lei, è la calma. Lui, è la persona da cui vorresti stare lontano. Lei, è la persona a cui vorresti stare affianco. Lei, è cresciuta volendo pensare al futuro. Lui, è cresciuto restando intrappolato nel passato. Lei, angelo dannato in cerca di emozione. Lui, demone disperato in cerca di pace. Lei, vittima del pericolo. Lui, vittima del crimine. ⏩©copyright,tutti i diritti riservati sequel: "VIVERE NEL PERICOLO". STORIA COMPLETATA⏪

thestories01 · realistisch
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66 Chs

XXI° senza alcuna protezione

Taylor Vega (POV'S)

Ci trovavamo in cortile.

Enrico continuò ad insistere «Sei sicura?»

«Sì, non fum–..» «Lo faccio io quel tiro di sigaretta!»

Nella mia visuale si introdusse una chioma di svariati colori.

«Hey! Tu!»

Non lo calcolò di striscio.

Lei «Taylor. Come va?» mi chiese con la sigaretta fra le labbra.

«Tutto okay, t–..» non mi lasciò terminare «Allora?»

Si era girata verso Enrico.

«Che si dice da queste parti?»

Non le rispose.

Si stavano fissando attentamente, sia lui che lei.

Perché sembra che tiri un'aria strana?›

Le sorrise il minuto dopo, fintamente, ma le dedicò un sorriso finto «Me la ridai la mia siga'?»

«No.» poi si voltò verso di me «Be'. Quindi co–..» «Ragazzina–..» lo interruppe a sua volta «Come se fossi più grande di me di chissà quanto. Pff!»

La guardò sbigottito.

Prima che potesse dire qualcosa lei gli chiese «Quanti anni hai?

«Ne ho 28.» Quantii?!› -strillai nei miei pensieri. Se mi avesse guardata in faccia al momento avrebbe notato la mia bocca spalancata, quasi mi cadeva!-

Sofia lo osservò con un'espressione seriosa «Non sembra proprio.»

«Invece è così.» fece spallucce.

Lei «Puoi dire ciò che vuoi, ma a me continua a non sembrare prop–..» «Siamo ad un interrogatorio?» sembrò irritarsi.

Ma che gli prende a questi due?›

Enrico parve cambiare argomento «Comunque sei una gran maleducata!»

«Come?» gli lanciò un'occhiata indifferente.

«Sì!» proseguì «Non solo mi hai rubato la sigaretta di mano... Non mi hai nemmeno salutato!»

Sofia «Ti ho già chiesto come stai, sì?» mi guardò. ‹Ma si sta riferendo a me?›

Enrico iniziò a sbraitare «Vedi?! Nemmeno mi calcoli! Ti sembra normale?!»

Lei in risposta sbuffò «Se mi parli e non ti calcolo vorrà dire che mi stai sul culo no?»

«Ridammi la mia sigaretta!»

«Ormai è finita!»

Io ero rimasta lì, in mezzo a loro due, senza dire nulla.

Decisi di proferire parola «C'è bisogno di fare questo casino per una sigaretta?»

«Sì!» mi risposero in coro e non potei far altro che serrare nuovamente la bocca.

Non spiccicarono più nemmeno mezza parola.

17:00

Mi lavai le mani e dopo essermele asciugate sui pantaloni stetti per spingere la porta per uscire. Peccato che prima che riuscissi a farlo spuntò all'improvviso proprio davanti ai miei occhi la ragazza riccia con le mani dietro la schiena.

«Wei!»

«Ciao.» la salutai forzatamente.

Mi chiese «Ti ricordi di me vero?»

«Carola...?»

Serrò le labbra guardandomi con un'espressione di sufficienza «Carlotta.» borbottò.

«Giusto, scusa.» mi grattai la nuca.

Con un balzo si sedette su uno dei lavandini.

«Io sono quella che ti ha salvato.» ‹Quante arie si da.› -pensai annoiata.-

Mise i gomiti sulle ginocchia e incrociò le mani fra loro.

«Parliamo di affari.» ghignò.

-Inarcai un sopracciglio- ‹Affari?›

Continuò il suo discorso «Mi serve una mano, saresti disposta a darmela?»

«Una mano?» ripetetti.

Lei «Sì. Una mano.»

Mi avvicinai di più alla sua figura «Del tipo?»

Frugò nelle sue tasche, si udì il rumore della plastica. Dopo averlo tirato fuori me lo mise in mano in modo veloce. Osservai il mio arto. Avevo ancora la mano chiusa a pugno.

«Questa sarà la tua prima missione.» mi disse «Fuori dal bagno, svoltato l'angolo, troverai una ragazza bionda.»

Aspetta...› -pensai- ‹Cosa?!› -esclamai dopo.-

«Non farò la tua spacciatrice.» le feci presente.

Misi ciò che avevo in mano sul marmo del lavandino, proprio affianco a lei.

Carlotta «Ascolta...» scese giù da lì «Ti serve la mia protezione. In cambio, ti chiedo questo semplice favore.»

«La tua protezione?!» esclamai.

Mi si avvicinò pericolosamente «.» mi disse a denti stretti.

«Ma–..» provai a ribattere «Te le ricordi le tipe dell'altra volta sì? Ti stanno lasciando in pace solo perchè pensano che tu sia con me!» tornò l'attimo dopo a parlare pacatamente «Quindi perchè non ti unisci a me? È? Io ti proteggo e tu mi dai una mano col lavoro.» ‹È così che lo chiama?› «Avrai parecchi privilegi. Sai? È figo!»

«Ah sì? E sarebbe?» storsi il naso.

Non rispose, anzi, sembrò avere un'espressione da completo scoglionamento «Okay. Ma non dire che non ti ho avvertita.»

Christian Jay (POV'S)

Avevo appena terminato il mio giro di ronda. Decisi di andare nella sala comune a prendermi un buon caffè.

Udiì alcune voci mentre stavo camminando per il corridoio.

«Non capisco proprio.»

Erano due guardie che stavano chiacchierando vicino alla reception al posto di fare il loro lavoro.

«No, nemmeno io lo trovo giusto.»

«Che cosa?» li raggiunse Katia.

«Che anche i detenuti in mensa possano prendersi un caffè.»

Rallentai il passo.

«Sono in carcere. Non al ba–..» «Proprio perchè sono già ben consapevoli di dove si trovino sarebbe bene concedergli almeno qualcosa di sciocco come un caffè ogni tanto, che poi, per la maggior parte delle volte gli viene anche negato. Tra parentesi non è nemmeno gratuito. Anzi. Se vogliamo dirla tutta lo facciamo pagare il prezzo del bar mentre noi lo beviamo gratis, eppure veniamo pagati per stare quà, a lavorare, mentre loro no. Se mai dovessimo metterci a pagarlo anche noi faremmo su come minimo un migliaio di euro alla settimana per quanto ne beviamo e per quante volte ce lo andiamo a prendere» fissai in seguito ciò che teneva in mano «anche quando siamo in sevizio.»

Ripresi a camminare in seguito.

Apriì la porta.

«Christian!»

«Hey James.»

Non avevo quasi fatto in tempo a chiuderla che mi aveva assalito.

Mi diressi alla macchinetta del caffè.

Il mio amico mi chiese «Sai che Frederick è stato licenziato?»

«Come?» mi voltai verso di lui e nel farlo mi scottai un dito «Aih! Maledizione...»

James «Già, mi è giunta questa voce.»

Questa volta prima di voltarmi verso di egli aspettai che il mio caffè fosse pronto «Lui era quello che si trovava quì dentro da più tempo.»

«Lo so.» poi mi mise una pulce nell'orecchio «È stato mandato via dopo che vi è venuto ad avvisare dell'accaduto fra Jo e il detenuto.»

Non potei crederci.

Buttai rumorosamente fuori l'aria dai polmoni.

Io come avrei mai potuto pensare di mantenere un minimo d'ordine da dietro le quinte se poi tanto è così che va a finire?›

Taylor Vega (POV'S)

Mi andai a sedere su una panchina.

Oggi, nonostante il fresco che c'era nell'aria, c'era un bel sole caldo. Decisi di togliermi la felpa.

«Vuoi una mano?» alluse qualcuno.

Mi spaventai! ‹Ma che diamine...?› -alzai lo sguardo.- Era la detenuta che avevo beccato in bagno con le sue amiche.

«No, grazie.»

Lei «Sicura?»

Si accucciò davanti a me. Quella che sembrava essere la maggiore d'età si sedette alla mia sinistra mentre l'altra restò dov'era prima, alla mia destra.

Cosa vogliono?›

Rimasi ferma dov'ero.

Questa «Allora?» giocherellò col pearcing che aveva al sopracciglio.

«No. Grazie.»

Feci peso sulle gambe per alzarmi ma quella che mi era seduta di fianco non me lo permise, teneva la mia spalla tra le sue grinfie.

Tornai con lo sguardo su quella che sarebbe dovuta essere il capo.

«No?»

«Che cosa volete?» decisi di chiederle, era inutile tirarla per le lunghe.

Si prese il labbro inferiore fra i denti «L'altra volta ti è andata bene, ma da quanto so, non sei una sua protetta come avevo pensato la volta scorsa.» ‹Carlotta me l'aveva detto...›

Non le risposi.

Ridacchiò «Ci ho preso!»

Si alzò in piedi. Fece un cenno alla ragazza che mi stava tenendo e questa mi spinse giù dalla panchina.

Neanche il tempo di toccar terra che mi tirò un calcio nella pancia. Tossiì.

Ma perchè...? Perchè deve sempre andare così!?› -mi chiesi con amarezza.-

«Andiamo.» le altre la seguirono «Ci vediamo la prossima volta.»

Si allontanarono.

Seguiì il loro tragitto con gli occhi, avevano raggiunto una ragazza. ‹Quella è...› -pronunciai in seguito il suo nome- ‹Rose.› -le aveva mandate lei?!-

Notò che la stessi guardando. Mi regalò un sorriso sghembo.

‹È chiaramente stata lei a mandarle.›

Aron Jhones (POV'S)

Mi trovavo quà da almeno un paio di settimane.

Sto impazzendo. Voglio uscire.›

Solitamente il massimo in cui mi ci facevano rimanere erano dieci giorni, anche perchè, di norma, non era consentito oltrepassare questa tempistica. A meno che ovviamente non si accoltellava qualcuno e via dicendo. Insomma, ti ci facevano restare per più tempo solo in casi estremi.

Ma in fondo ho toccato "il grande capo".› -quasi mi venne spontaneo ridermela fra mé e mé.-

Sospirai.

Appoggiai la testa contro la parete che si trovava dietro di me, appisolandomi.

Mi sveglio di soprassalto.

‹Dove stò?›

Mi alzo.

-Guardandomi attorno noto di non trovarmi nella cella cella d'isolamento- ‹Mi trovo nella vecchia area.›

Il mio respiro inizia a farsi più veloce.

«Aaaaah!»

Comincio a udire le urla dei detenuti che si trovano dentro alle altre stanze.

«N-no. Basta! Vi prego vi prego vi prego vi pre–..» si blocca «Aaaaaaaaaaaaah!»

Odo delle urla disumane.

Mi tappo le orecchie.

‹Non voglio stare quì.› -penso- ‹Quello è un pazzo.›

Di quello che fanno in realtà quà dentro non ne è a conoscenza nemmeno il direttore del carcere. E, francamente, non mi sorprende.

*click*

Scatto indietro.

‹La porta si sta aprendo?›

Continuo ad indietreggiare.

Noto che non entra nessuno, allora perchè si è aperta?

Mi affaccio al corridoio. Non c'è anima viva, perchè? Esco col busto ed in fine con l'intero corpo.

«Basta perfavore!» dice. ‹È la voce di prima.› -penso io.-

Le urla che prima avevo cessato di ascoltare ricominciano. Più forti di prima. Straziano l'aria, la tagliano. Mi colpiscono i timpani come lame.

«Questa voce...» dico.

La udivo spesso il primo anno che mi trovavo in carcere, quando ero appena arrivato.

Mi dirigo verso di essa. Le gambe si muovono da sole.

Entro nella stanza. Appena faccio capolino in questa ci fissiamo negli occhi.

Cado sulle ginocchia.

‹Quello sono io.› -inizio a pensare- ‹Ma è impossibile...›

Continuo ad osservare la stanza.

‹Non mi sono mai trovato in questa stanza prima.›

Le pareti sono tutte scrostate. Sembrano vecchie. Per terra c'è del sangue sbiadito, ormai incrostato sul pavimento. È pieno di impronte. Le pareti sono piene di graffi, di scritte, di righe che sembrano segnare i giorni trascorsi quà dentro. Lì affianco ci sono degli strumenti e più in là uno aggeggio. Sembra una cinghia.

I miei occhi vagano ovunque.

Come potrei mai descrivere bene una stanza del genere?

Ogni dettaglio che riguarda questa stanza è puro orrore.›

Mi svegliai sudato marcio. Ero in affanno. Misi una mano sul petto, il cuore sembrava volersene uscire.

Che cos'era quel sogno? Ma sopratutto, chi era la persona che urlava in quel modo?

Strizzai gli occhi.

Avevo un sacco di domande in testa, ma una sola mi venne da porgermi in modo spontaneo... ‹C'è qualcuno che in quel posto ha passato momenti peggiori dei miei?› -dissi fra mé e mé.-

Taylor Vega (POV'S)

Ero dovuta correre in bagno, per fortuna non avevo rigettato. Anche perchè avevo appena mangiato.

«Weilà!» ‹Cazzo.› «Come stai?» mi chiese «Ti è passato il mal di pancia?» perfetto, mi prendeva pure in giro.

«Sì. Grazie.»

«Allora dobbiamo rimediare!» disse alzando le braccia in aria.

La mia testa scattò verso di lei.

Mi arrivò un colpo allo stomaco questa volta.

Perchè devo prendermele sempre?›

‹Perchè non sei in grado di difenderti, e di conseguenza, di sopravvivere.›

Si avvicinò con la testa vicino alla mia «Non sei ancora protetta da nessuno, giusto?»

Non le risposi, o meglio, non feci in tempo.

Me ne arrivò un altro. Questa volta dritto nelle costole.

«Quindi?»

«Va–..» stetti per risponderle ‹Non lo fare! Non ti ha insegnato niente l'esperienza con Rose?! Taci, taci maledizione! Sta' zitta!› -serrai le labbra, me le morsi forte. Così forte da sentire il sangue in bocca.-

Lei «Come?» mise la mano vicino all'orecchio avvicinandosi di poco.

La divertiva prendermi in giro?

Sei debole.›

‹Smettila.›

‹È la verità. Sei solo una debole!›

‹Fa' silenzio! Cosa dovrei fare?!›

Qualcosa.›

‹Non posso fare niente.›

No. Tu non sei in grado di fare qualcosa.›

‹Cazzate.›

‹No. È la verità.›

‹Non è vero proprio niente. Tutto questo, non è vero.›

‹Ah, allora ne sei consapevole?›

‹Sì.›

‹Che questa non è davvero la tua realtà?›

‹Sì–..› -mi riscossi- ‹Ma cosa sto dicendo? A che cosa sto pensando?!›

«Prontoooooo?»

Tieni alta la testa perlomeno.›

Mi spintonò.

Sempre. Sì, hai ragione.›

Alzò la gamba.

Allora? Che vuoi fare? Vuoi prenderle? Vuoi continuare ad essere debole?›

‹No. Non voglio.›

‹Allora spostati!›

La scansai facendo un balzo in dietro!

Mi dovetti tenere il fianco dopo aver fatto quel movimento, il dolore non era ancora passato.

Lei «Heii! Che fai, ti sposti? Oh! Non vale così!»

Mi allontanai ancora.

«Ricorda che sei un semplice coniglietto.»

«Ti sbagli.» dissi.

«Cosa? Ripeti...»

-Feci per aprire la bocca- ‹Non farlo! Ricorda–..› -interruppi il tutto- ‹No. Basta.› «Hai sentito benissimo quello che ho detto.»

Mi tirò su da terra! Cercai di divincolarmi senza risultato.

Dopo avermi strattonato per la maglia mi tirò verso di sé per poi spintonarmi contro il lavandino in ceramica. Sbattei la schiena. Sentiì un dolore lancinante, stinsi i denti, li stinsi più che potei.

Nonostante tutto non aveva ancora mollato la presa.

Misi le mani attorno ai suoi polsi! Prima che potessi fare altro mi tirò un pugno. Barcollai verso la parete sporgente che affiancava la serie di lavandini.

Rimasi un attimo stordita.

«Ne hai abbastanza? Dai, coraggio, reagisci ancora!»

Mi riafferrò per la maglietta facendomi poi prendere un'altra botta alla schiena. E poi ancora.

Basta...›

‹Ti arrendi così? Per quanto vorrai rimanere la perdente che sei diventata?›

‹No, basta.›

Senti se–..› -la interruppi- ‹Ho detto basta!›

Mi trovavo per terra.

Non riuscivo a muovermi, sembrava che avessi la schiena totalmente a pezzi. Le fitte non cessavano. Ogni respiro che cercavo di fare mi si spezzava a metà.

«Ci vediamo alla prossima.»

Mi lasciò lì sul pavimento freddo.

Rimasi a pancia in su, così, per non so quante ore.

Muoviti.›

‹Fa male.›

Il mondo è fatto così. E tu non sei adatta ad affrontarlo.›

Misi una mano sulla parte destra del viso. Serrai le palpebre, continuai a giocare col labbro inferiore coi denti, percepivo l'allargarsi delle narici ed il respiro aumentare. Strinsi la presa con le dita fino a graffiarmi la fronte con le unghie.

«Vaffanculo. 'Fanculo cazzo!»

Christian Jay (POV'S)

Ero stato convocato nel suo grande, e avrei anche aggiunto, costoso ufficio.

«Mi hai mandato a chiamare?» gli domandai dopo essere entrato.

Non rivolse subito il suo sguardo su di me.

Continuava a fissare la lettera davanti a sé, come se si trovasse in tranche.

«Sì.» disse all'improvviso «C'è una notizia.»

Allontanò da sé la lettera col chiaro segno che fosse già stata aperta.

-Dopo che parve che l'avesse allungata verso di me pensai- ‹Dovrei leggerla? O che cosa? Perchè non parla?›

Continuai ad osservarlo in silenzio.

Improvvisamente puntò i suoi occhi dritti nei miei.

«Dentro la busta della lettera che vedi mi è giunta una certa notizia. Hai idea di cosa possa essere?»

Ma che domanda era? Era ovvio che non lo sapessi.

«Cinque minuti prima che arrivasse mi è arrivata persino una chiamata.»

Ancora non capiì quale fosse il nocciolo della questione.

Gli dissi in seguito «Non è tuo solito girarci intorno in questo modo.»

Serrò le palpebre per un singolo attimo che parve un solo secondo, poi sospirò in modo appena impercettibile, per poi riaprirli.

«C'è un fuggitivo dal super carcere di massima sicurezza a Boston.»

Mi mancò il respiro.

Se mi fossi lasciato andare anche solo per un attimo avrei finito per non riuscire più a rimanere sulle mie gambe.

La gravità sembrò mettersi improvvisamente contro la mia intera figura. Sembrai percepire una pressione massima che mi continuava a premere verso il pavimento, sempre più giù, quasi a costringermi nel lasciarmi cadere a terra.

‹È come se mi fosse crollato il mondo addosso.›

Usciì frettolosamente dal suo ufficio.

«Claus Jhones è tornato...» sussurrai fra mé e mé.