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A riveder le stelle

In un'epoca remota, dimenticata anche dall'ultimo essere umano, un'epoca la cui sola presenza era rappresentata da piante a noi sconosciute, da alte rocce, più alte dei nostri palazzi, da dune di sabbia, e da edifici i cui spettri erano solidi al suolo.

In mezzo a una terra brulla e spoglia vi era un palazzo, adornato da foglie d'argento e colonne marmoree così lisce che tramite essa vi scorgiamo un viso, un viso un po' buffo e un po' impacciato, il viso di un grazioso topolino, tutto intendo con un lungo flauto a intonare una musica dalle note soavi, delicate, quasi eteree.

Il topolino, come ogni giorno, dopo aver concluso la musica si dirigeva verso la grande sala del palazzo, ove vi erano leccornie di ogni sorte, illuminate da candele dorate, e tutta la stanza era ricolma di un profumo di bacche.

Dopo essersi riempito per bene, andò nella sua stanza, assai piccola e graziosa, come lui, si sedette sul letto e guardò dalla finestra, la sabbia color porpora sembrava muoversi quasi come il mare e le onde purpuree parevano incresparsi sulle antiche mura, le quali oramai erano soltanto un ricordo di quello che un tempo fu la dimora di potenti regine e immortali eroi.

Il topolino rifletté e rifletté, su cosa, non ci è dato saperlo, ma di certo tutta quella sabbia che lo circondava gli ricordava in qualche modo la vastità del tutto, e l'assoluto silenzio di cui era imbevuto sia il palazzo che la sabbia.

Quelle onde che andavano avanti e indietro, tentava e ritentava di imitarle, muoveva le sue minuscole mani sul flauto con fare ondeggiante, quasi acquo, e le spumanti noti che ne fuoriuscivano riecheggiavano in tutte le stanze, il palazzo si trasformò in una sala da ballo, e al di fuori pareva che il vento lo accompagnasse, che danzasse con lui.

Mentre era intento a suonare, i suoi piccoli occhietti scrutarono un minuscolo puntino sulla sabbia, così curiosamente si precipitò fuori e vide un piccolo essere, tutto rannicchiato in un piccolo guscio e da cui fuoriuscivano due piccole antenne.

Il topolino guardò la chiocciola incuriosito, non ne aveva mai visto una, mentre da quel piccolo guscio ne uscì una testolina, che scrutò quell'essere tanto più alto di lei, e forse mossa dalla curiosità si mise ad arrampicarsi sul flauto, era tanto buffa vederla muoversi fra i buchi, ma dopo poco cadde e il topolino la prese in tempo e la ripose a terra.

La chiocciolina incominciò ad incamminarsi e mosso dalla curiosità egli si mise a seguirla, oltre i confini delle sabbie.

Essi giunsero al cospetto di una scalinata, nel bel mezzo di un prato verde smeraldo, e sempre seguendola salì i gradini, uno ad uno, fino a raggiungerne la cima, un altro grande prato circondato da papaveri, anche se non erano la sola cosa presente, perché più avanti vi era un tempio, un po' corroso dai petali ma era pur sempre un signor tempio, grande e massiccio.

I due decisero di entrarvi, anche se lui non era tanto convinto, mentre lei era entusiasta, era come se gli volesse mostrare questo posto.

All'interno vi era umido e le goccioline che provenivano dal soffitto ogni tanto si poggiavano sulle spalle di lui, mentre lei semplicemente rientrava nel suo guscio, la sua casa.

Camminarono attraverso quadri di gente importante, gente che aveva cambiato la storia, la storia, sì, ma soltanto della specie umana, lui era sempre incuriosito nel vedere questi volti, tanto diversi dal suo e anche diversi fra di loro, lei invece non sembrava tanto interessata, anche se la si vedeva ogni tanto ridacchiare, forse alcune facce le parevano simpatiche .

Attraversano il corridoio e alla fine ciò che trovarono sorprese entrambi, una grande boccia di vetro con all'interno un enorme pesce rosso che sguazzava, e di fianco un enorme gatto, dal manto marrone e con una grande chiazza bianca sul muso.

Dal soffitto calò una bilancia, su cui erano posti su dei bilancieri una piuma e un sacco pieno di monete luccicanti.

Il gatto invitò loro a scegliere o l'uno o l'altro, lui prima tastò la piuma, morbida e soffice, il cui biancore si risplendeva sull'acqua della boccia, lei si immerse fra le monete, le si sentiva toccarle, tintennavano.

Egli prese una moneta e la assaggiò, non gli piacque, il metallo era forse stato reso troppo amaro dalla ruggine, ella andò sulla morbida piuma e rise, il morbido tessuto le faceva il solletico.

Un'enorme luce investì lei, segnando l'apertura della roccia in fronte a loro, e sempre incuriositi, il topolino e la chiocciolina varcarono quel portone dal colore della cenere, videro un enorme cielo il cui manto era puntellato di piccole stelle.

Lui ne rimase stupefatto, lei rise, era tanto carina a vederla sorridere con quei piccoli occhietti.

Il portone li chiuse in quel prato sormontato da quel nero pece puntellato di piccoli diamanti, e siccome a lei pareva chiaro che da qui non potevano uscire, si arrampicò sul lungo flauto come ad invitarlo a suonare, e lui, ispirato dalle stelle, suonò, la musica era eterna, come eterno era il sorriso di lei, e ogni giorno, là dentro, si dedicarono un piccolo momento, seduti accanto, a riveder le stelle.