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CRESCERE NEL CRIMINE

Ragazzi e ragazze, tutti rinchiusi nello stesso lurido posto. Vittime delle loro azioni. Vittime di ciò con cui si sono macchiati. Vittime di chi li ha cresciuti. Ma soprattutto, vittime di loro stessi. Quando sei vittima di te stesso non puoi correre da nessuna parte. Solo imparando ad affrontare la realtà, solo così, potrai dire di essere veramente libero. Ma ci si può liberare della propria mente? Non potrai mai sentirti libero se prima non impari a convivere con quel che hai fatto pagandone le conseguenze. Alcune cicatrici è difficile guarirle. Dipende dove te le porti, se nel corpo, o nella mente. I pensieri fanno male, logorano. Le azioni ne conseguono. Ma quando ti ritrovi in un posto dove quel che hai fatto ti viene messo tutto su un tavolo, non puoi non guardare in faccia la realtà. Così impari a conviverci h 24, rimanendo solo tu coi tuoi pensieri perenni. Loro verranno uniti da una sola cosa, ovvero, una cella fredda ed un pavimento polveroso dove parlare dei loro maledetti problemi. E questa, è la loro storia... Lui, per lei è come una calamita Lei, per lui è la persona sbagliata. Lui, è la tempesta. Lei, è la calma. Lui, è la persona da cui vorresti stare lontano. Lei, è la persona a cui vorresti stare affianco. Lei, è cresciuta volendo pensare al futuro. Lui, è cresciuto restando intrappolato nel passato. Lei, angelo dannato in cerca di emozione. Lui, demone disperato in cerca di pace. Lei, vittima del pericolo. Lui, vittima del crimine. ⏩©copyright,tutti i diritti riservati sequel: "VIVERE NEL PERICOLO". STORIA COMPLETATA⏪

thestories01 · Realistic
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66 Chs

XL° problemi socialmente inutili

Taylor Vega (POV'S)

Il giorno dopo mi sentivo assonnata, ero rimasta tutta la notte in dormiveglia.

Sbadigliai.

Erano le 15:00 di pomeriggio.

Mi trovavo con le altre, stavamo camminando lungo l'ampia stanza principale.

Chiara stava parlando «E quindi sa–..» si scontrò con qualcuno «Ops!»

Carlos la osservò dall'alto «Ciao.»

«Non volevo urtarti.»

Solo io notai il modo in cui si guardavano?

Poi lo sguardo di lei ricadde sulle sue mani ‹Non ha più le fasciature.› «Che hai combinato?»

Lui se le mise in tasca «Niente.»

Scattò verso di lui e lo prese per la manica obbligandolo a tirare fuori una mano.

Allargai gli occhi.

Notai dei graffi e segni di vecchie cicatrici. Come se li era procurati?

Chiara lasciò la presa e lui scostò la mano in malo modo «Allora?»

«Sai che amo i guai.»

«Oh, sì, certo.» gli tirò un'occhiata d'ammonimento.

Rimasero a guardarsi, mi sentiì in suggestione.

Io dissi «Be', se vuoi ci vediamo più tardi...»

Chiara «No!» scattò con il busto verso di me «Adesso andiamo.»

«Allora ci vediamo.» fu Carlos a parlare.

Ce ne andammo e ripresimo la nostra passeggiata.

Chiara sembrò sovrappensiero.

Decisi di parlare «Non vorrei essere troppo invadente, però...»

Mi guadagnai la sua attenzione «Dime.»

«Io vedo ancora qualcosa tra di voi.» presi coraggio «Perchè non ne parlate?»

«No ce n'è bisogno.» disse in modo tagliente.

«Bé...» decisi di insistere «Non parlare alza dei muri. E i muri dividono.»

Sospirò in modo rumoroso «Siamo già stati divisi, non da un muro, ma da un ponte. Él ha tagliato le corde.»

Distolsi lo sguardo.

Ambra, che era rimasta zitta fino ad ora, disse «Anche tu dovresti farlo.»

Mi girai verso di lei, non riusciì a capire ciò che voleva intendere.

«Dovreste smettere di giocare al gatto e al topo.» continuò «Perchè ricorda che prima o poi il topolino dal gatto viene preso.»

«Ma di che parli?»

Ambra diede un'occhiata all'orologio ed anziché rispondermi disse «Io devo andare, ho una chiamata da fare.»

Ci salutò dicendo che ci saremmo viste più tardi.

Martina ci raggiunse. Salutò solo lei, non mi calcolò. Quale problema aveva con me?

Più tardi quando rimasi sola la andai a cercare.

Quando la notai le andai in contro. Era con delle ragazze.

Voglio chiarire questa situazione.› -pensai con sicurezza.- La chiamai «Possiamo parlare?»

«Chi è questa?»

Martina si girò verso di me «Adesso sono impegnata, Ідіот.»

Dopo aver detto qualcosa nella sua lingua, probabilmente un insulto, si mise a ridere insieme alle altre.

Una di loro mi si avvicinò pericolosamente.

«Tu...» mi studiò con lo sguardo «Non lavoravi per Carlotta?»

«Emh...» ‹Che devo dire?›

«Dalma, che succede?» chiese un'altra.

Lei disse «Io mi ricordo di te!» mi puntò il dito contro.

Martina si mise di fianco a lei «Dalma.» ma questa non ascoltò nemmeno lei.

Io «Che–..» «Tu sei quella che ha fatto la spia su Lucas!» ‹Chi?«Ha dovuto usare una cannuccia per mangiare lo sai?! Non ha più parlato. E questo grazie a te!»

Una delle ragazze domandò «Di che stai parlando?»

«Questa stronza ha fatto sì che quella guardia di merda facesse mangiare il joint a Lucas! È lei!»

Spalancai gli occhi.

Stava parlando di quel giorno? Non ci avevo più pensato. Non avevo idea che lo conoscesse.

Mi arrivò faccia faccia, alzò il braccio, prima che potessi chiudere gli occhi notai che venne trattenuta per la spalla.

Martina le disse «Che cosa pensi di fare?»

Lei si tolse la sua presa da dosso ed iniziò a sbraitarle contro! Disse che mi sarei meritata una bella lezione. Che cosa potesse intendere già lo sapevo. Sembrò avercela a morte con me. Ma come biasimarla?

Quel giorno ero andata nel panico, non avevo saputo come agire, e alla fine gli puntai il dito contro. Non mi sarei mai potuta immaginare come sarebbe andata a finire, altrimenti sarei rimasta zitta.

Martina le disse «Vedi di calmarti.»

«Questa stronza–..» «No.» la interruppe «Non m'interessa. Tu non la toccherai.»

Dalma parve avere una crisi di nervi «Stai scherzando?!»

Martina mi prese per il braccio e mi tirò via.

La guardai di sottecchi «Ti ringra–..» «Sta' zitta.» mi intimò di tacere «Sei un'amica di Chiara, lei ci tiene a te, voglio evitare di vederla arrabbiata.»

Sorrisi senza farmi notare, le voleva bene. Era chiaro che tenesse a lei. Poteva sembrare assurdo ma era davvero una brava persona sotto sotto.

«Dovresti imparare a difenderti. Vorrei darti qualche lezione.»

Si guadagnò la mia attenzione.

Quello stesso tardo pomeriggio mi fece vedere qualche mossa di muay thai.

22:00

Mi trovavo davanti alla mia cella, avevano appena spento le luci. Se mi avessero trovata ancora fuori mi avrebbero fatto la ramanzina.

*bam*

Si udì un forte rumore.

*bum*

Un altro.

Mi affacciai al corridoio, sembrò provenire da quello adiacente.

Dopo essermi diretta verso la cella in questione lessi che c'era scritto T2. Guardai all'interno.

«Carlos...?»

Tutta la stanza era stata messa a soqquadro.

«Chi sei, che cosa vuoi.» ringhiò.

Lui si trovava ancora voltato di spalle proprio al centro di questa.

Tirai fuori una delle forcine in ferro che mi erano state regalate da Ambra. Mi accucciai, la infilai dentro la serratura, e ci smanettai per un po'.

Carlos mi raggiunse, chiuse le sbarre tra le sue mani «Che cosa stai facendo?» chiese.

«Ancora un secondo...» dissi distrattamente.

Mi aveva insegnato a farlo, ma di certo non ero brava quanto lei.

*click*

Ce l'ho fatta!› -pensai con fierezza.-

Apriì la porta della cella cercando di fare il minor rumore possibile.

Gli dissi «Dai, vieni.».

Senza dire una parola si affacciò al corridoio.

Guardando dentro la sua cella notai il suo letto che si trovava riverso a terra, e poi, quello disfatto proprio dall'altra parte. Aveva un compagno di stanza? Ad ogni modo, non c'era.

Carlos prima di uscire del tutto dalla cella mi disse «Non pensi alle guardie?»

«Basta fare attenzione.» lo rassicurai «Dai muoviamoci.»

Quando giunsimo in cortile lui si accese una sigaretta.

Io ovviamente non ero munita della mia felpa, l'avevo dimenticata nelle doccie e non essendo rientrata in cella non avevo preso su l'altra, anche se più leggera. Faceva freddissimo. Stavo tremando.

Gli chiesi in seguito «Potrei chiedertene una?»

Carlos senza rispondermi tirò fuori un'altra sigaretta e me la porse, lo ringraziai. Mi diede anche l'accendino. Con tutto questo mio tremolio non riuscivo ad impugnarlo per accenderlo.

Lo sentiì sbuffare. Ad un certo punto qualcosa mi atterrò sulla testa ,con una mano me lo tolsi di dosso. Guardai la felpa e poi lui.

Gli chiesi allarmata «Ma non hai freddo così?» osservai le sue braccia nude. ‹Ci saranno 10°!›

Carlos negò con la testa «Tu ne hai più bisogno.» fece un tiro di sigaretta.

Allungai l'indumento verso di lui «Davvero, non–..» «Non provare a ridarmela.»

La sua sembrò essere una minaccia.

Me la infilai, stando poi molto meglio. Era stato gentile.

Passarono all'incirca un paio di minuti.

Ad un certo punto ruppi il silenzio creatosi «Non va bene.»

Mi guadagnai un'occhiata stranita «Cosa?»

«Spaccare quello hai intorno non può colmare ciò che ti spacca dall'interno.»

Dopo quella mia affermazione ci mise qualche secondo a proferire parola «Non immischiarti.»

«Non mi piace vedere star male due persone che si amano.» mi sfuggiì dalle labbra. -Misi una mano davanti alla bocca- ‹Che vado a dire?!›

Carlos non mi guardò «Lei non mi ama.» disse, eppure, ogni qual volta, nel suo sguardo ci leggevo il contrario.

Buttò la sigaretta a terra e mi diede le spalle.

Ho detto qualcosa di male?› -mi dovetti chiedere.-

Poi mi venne in mente che avevo ancora la sua felpa addosso «Carlos, la felpa!»

«Tienila. Me la ridarai.»

Sparì definitivamente.

Carlos Siragusa (POV'S)

Ero steso nel letto con gli occhi chiusi.

«Ci vediamo.»

«Miraccomando.»

La porta della cella venne richiusa.

«Steven sembra averti preso in simpatia.»

Nicolas non rispose a quel che dissi «Ah, sei svegl–.. Che è successo in questa stanza?!» Oh, giusto.› -quando ero rientrato quasi non ci avevo dato peso.-

Alzai le spalle «C'è stato un po' di vento.»

«Sarebbe più giusto dire un tornado!»

Non mi preoccupai di guardarlo, continuai a tenere gli occhi chiusi.

Lui «Ma che cazzo, dovevi proprio ribaltare la stanza?!»

Non accennai a rispondere.

Ero cresciuto con la rabbia a farmi da madre e con un padre che mi portava sempre con lui nei più loschi pub.

Avevo sempre avuto un'indole violenta, fin da bambino. Avevo l'abitudine di finire spesso per prendermi a botte coi miei compagni di scuola.

Quando crebbi non feci altro che peggiorare.

Fino ad arrivare all'esasperazione. Fino a farlo diventare un problema vero e proprio.

Fino ad arrivare a uccidere.›

...FLASHBACK...

È notte fonda.

Sto camminando, o meglio, barcollando verso casa. Ho bevuto una birra di troppo.

Passo di fianco ad un ragazzo incappucciato.

Mi sta per caso guardando?›

«Che cazzo ti guardi?» mi dice.

Non rispondere alla sua provocazione.›

«Aòh!» mi tocca la spalla.

-Lo spingo- ‹'Fanculo la calma.› gli urlo di rimando «Hai qualche problema?!»

Questo «Senti stro–..»

Gli tiro un pugno in pieno viso. Mi abbasso alla sua altezza, prendo i lembi della sua maglietta fra le mani e me lo avvicino.

«Hai qualcosa da dire? Dilla pure, dai...» stringo la presa.

«Lasciami...» poi aggiunge «Non ho niente da dire.»

Lo guardo meglio «Ah no?»

«No!»

«Eppure... Mi è sembrato.»

Lo lascio andare. Mi tiro su.

Io «Come hai detto?» -Lo guardo- ‹Vuole davvero che gliele dia...›

Spalanca gli occhi. Pensava che non lo avessi sentito?

Lo tiro su, inizio a tempestarlo di pugni.

Non gli lascio tregua. Né il tempo di agire, né il tempo di dire qualcosa.

Sta cercando di lottare.

Gli prendo la testa e gliela sbatto contro l'asfalto.

Ad un certo punto sento solo il suono del suo setto nasale che si spacca sotto i miei pugni. Continuo. Continuo a colpire finché l'osso rotto non va ad intaccare il cervello.

...FINE FLASHBACK...

Ero ricolmo di rabbia e l'unica persona che riusciva a placarmi mi aveva abbandonato. Ma sapevo che la colpa era solo mia.

Nicolas «Che palle.» disse nel mentre che rimetteva in piedi il comodino.

-Osservai le mie mani piene di cicatrici.- ‹Sanno fare solo del male.›

Mi misi a sedere, tirai fuori le bende e me le fasciai.

11:00

Era piuttosto tardi, mi ero fatto sì e no una dormita di due orette soltanto.

Stavo fumando e come di routine, stavo guardando lei.

Era così che iniziavo le mie giornate.

Dopo essermi preso un buon caffè me ne andavo in cortile, mi accendevo una sigaretta, e aspettavo lei.

Si metteva sempre nello stesso posto ed io facevo lo stesso. Delle volte mi sembrava che lo facesse apposta per far sì che la guardassi.

E a proposito di sguardi, me ne stava lanciando uno proprio adesso.

A volte non servivano parole. Perchè andare ad infrangere un favoloso silenzio fatto di occhi che si cercano? Delle volte, più che le parole, faceva più rumore uno sguardo.

Aron Jhones (POV'S)

La giornata era iniziata da non molto ed io già non avevo più voglia di viverla.

Non ho fatto altro che pensarci e ripensarci per tutta la notte.› -non avevo chiuso occhio.-

Ero nervoso ed odiavo non avere risposte alle mie domande.

All'improvviso, lo vidi. Mi diressi verso di lui a grandi falcate.

Non fece neanche in tempo a reagire che lo presi per i lembi della felpa!

«Parla!» gli fui faccia a faccia.

Nicolas mi rifilò un'occhiata di fuoco «Ma qual buon vento!» poi fece una pausa «Sì dice così in Italia, giusto? Ho detto bene?» Aumentai la stretta sul collo della sua felpa ed a denti stretti gli dissi «Mi prendi per il culo?»

«In questo momento ti vorrei prendere a pugni visto il tuo attaccarmi così all'improvviso.» socchiuse gli occhi in due fessure.

«Piantala di fare finta di niente, se sai qualcosa devi dirmelo!»

Mi guadagnai l'ennesima occhiataccia «Ma di che cazzo stai parlando?!» chiuse le dita sui miei polsi.

«C'è qualcosa che non quadra con Taylor!» gli urlai addosso!

Sul suo volto si impresse un'espressione da finto tonto «Ed io che cosa dovrei c'entrare?!»

Accorciai quella poca distanza che c'era tra di noi «Lo so che sei stato mandato quì da Claus.»

«Sen–..» «Se lui la sta vedendo e tu sai qualcosa devi parlare!»

Sembrò essere preso in contropiede «Ma di che cosa stai parlando?!»

«Hei.»

Qualcuno ci interruppe. ‹James.› -constatai la mia fonte di disturbo.-

Lo lasciai in malo modo.

Nicolas Kepler (POV'S)

Stavo ripensando a ciò che mi aveva detto Aron.

Lui la incontra?› -mi chiesi. Ma ben presto avrei potuto domandarlo a lui.-

Mi feci già trovare lì, dopo che la porta della maniglia si fu abbassata fece capolino dentro alla stanza.

«Incontri Taylor?»

Andai subito al sodo.

Claus non rispose, con tutta la pacatezza di cui poteva essere capace prese posto davanti a me.

Stavo ancora attendendo la sua risposta.

«.» rispose «Quindi?»Sta scherzando?› -mi chiesi visto la sua tranquillità nell'ammetterlo.-

«Perchè?»

«Perchè avrei dovuto dirtelo?» mi rigirò la domanda.

«Se le fai del male–..» «Del male?» ripeté dopo avermi interrotto «Perchè dovrei?»

«E allora che cosa la vedi a fare? Non penso che possa c'entrare col tuo piano.»

Claus mi osservò con aria da superiore quale pensava di essere «Non sono affari che ti riguardano.» poi si avvicinò col busto verso di me «Discorso chiuso.» ‹No, discorso chiuso un cazzo.› -strinsi la mano che tenevo sul ginocchio a pugno.-

Io gli dissi «Che cosa vuoi fare con lei?»

Claus sorrise tra sé e sé, distolse lo sguardo, poi lo riportò su di me mentre si risiedeva composto «Adoro giocare con le mie prede, tutto quà.»

«La preda è Aron.» gli ricordai.

Mi guadagnai uno sguardo torvo «Sì... Aron.»

Il discorso sembrò chiudersi così.

«Comunque non posso rimanere per molto.» gli dissi «Mi stanno seguendo e lo sai.»

«Sì, lo so.»

Solo un malato rischierebbe così tanto consapevolmente.›

«Come per esempio il tuo messaggio, insomma, che hai intenzione di fare? Di far saltare tutto?! Per fortuna l'ho trovato io. Anche perchè altrimenti non so come sarebbe potuta andare a fin–..» «Messaggio?» fermò la mia raffica di parole «Quale messaggio?»

Lo guardai in modo quasi sconcertato «L'aeroplanino con su scritto che ci saremmo visti presto...»

Fu sua la volta di guardarmi sconcertato.

Che cosa significa?›

«Aspetta, di che parli?» sembrò essere serio.

Quindi non era stato lui?

Gli spiegai tutto, per filo e per segno.

Claus constatò «Qualcuno voleva incastrarmi...»

Rimase con lo sguardo fisso sul tavolo, proprio dove stava stendendo le braccia coi pugni serrati. Potei notare la vena della sua tempia pulsare.

In questo momento la sua testa probabilmente stava viaggiando a trecento all'ora.

Ad un certo punto si prese la testa fra le mani nascondendo il viso. Ebbe dei sussulti. Quando stetti per parlare fui interrotto dalla sua risata divertita. Che cosa aveva da ridere?

Si tolse definitivamente le mani dal viso «Incredibile!»

Io «Già...» cercai di ridere, ma subito dopo la smisi.

Si allungò verso di me.

«Battimi un cinque!»

Sulla mia faccia si dipinse lo sconcerto più che totale.

Feci come mi diceva, ma ne rimasi perplesso.

Mentre lui ancora se la rideva io lo guardavo di sottecchi. Era davvero questo il modo di reagire? Sembrò averla presa fin troppo bene.

Claus tornò a sedersi composto «È incredibile che lo abbia trovato tu quello stupido biglietto.»

«S–..» mi bloccai. ‹Merda. Questo è un problema.› -pensai dopo che venni illuminato da una consapevolezza.-

E come già mi aspettai mi domandò retoricamente «Quindi ce l'hai tu.»

Mi guardò in faccia, non avevo idea dell'espressione che mi si era dipinta in volto.